Le chiavi della matrice divina
Verso il Tempio (Hilarion)
- Prima che gli occhi possano vedere, essi devono essere incapaci di lacrime.
- Prima che l'orecchio possa udire, esso deve aver perduta la sua sensibilità.
- Prima che la voce possa parlare in presenza dei Maestri, essa deve aver perduto il potere di ferire.
- Prima che l'Anima possa stare alla presenza dei Maestri, i suoi piedi devono essere lavati nel sangue del cuore.
c'è uno scopo. Chi è sul Sentiero deve acquistare il dominio sulla natura emotiva e perciò deve elevarsi al di sopra delle contingenze personali, sforzandosi di realizzare la propria individualità.
Prima di udire chiaramente la verità in mezzo all'assordante vita esterna dei sensi, il nostro orecchio deve perdere la sua sensibilità, deve cioè udire cose spiacevoli, saldo nella coscienza della propria anima. E' necessario perciò raggiungere il luogo del Silenzio interiore per udirne la Voce che non ha suono. Ma una volta udita tale Voce, l'orecchio resterà sempre sensibile alla sua armonia.
Le altre due verità riguardanti il potere di parlare in presenza dei Maestri e di star loro di fronte, sebbene scritte sulla parete del vestibolo, concernono la vita interna del Tempio della Saggezza. Esse sono scritte là affinchè possano rifiorire nell'anima dell'aspirante e servire a lui da guida per indirizzare i suoi sforzi verso il lavoro da compiere nel Tempio, dopo aver perduto il potere di ferire con la parola.
Il sacrificio assoluto di tutta la vita, il liberarsi da ogni desiderio, il volere possedere solo allo scopo di dare, è nella sua ultima perfezione il lavoro riservato a coloro che si trovano sulla Soglia dell'Adeptato.
1 Uccidi l'Ambizione.
2 Uccidi il desiderio di vivere.
3 Uccidi il desiderio dell'benessere.
4 Lavora come lavorano coloro che sono ambiziosi, rispetta la vita come quelli che la desiderano. Sii felice come chi vive per la felicità.
ambizione che è la molla che lo spinge ad ogni attività e conseguimento. Però leggendo il 4. precetto, "Lavora come quelli che sono ambiziosi", comprende che si tratta di astenersi da un sentimento che spinge all'egoismo. Per la sete del successo, l'ambizioso diventa egoista e ignora che le cose più ambite si convertono in cenere.
"Rispetta la vita come coloro che la desiderano" vuol dire non trascurare il corpo fisico perchè esso è il tempio dello Spirito e perciò ogni mezzo deve essere usato per prolungare la vita, che è un dono glorioso da cui dobbiamo trarre gioia.
5 Uccidi ogni senso di separazione.
6 Uccidi il desiderio della sensazione.
7 Uccidi la sete di crescere.
8 Rimani isolato poichè nulla di ciò che ha corpo, nulla di ciò che è conscio di separazione, nulla di ciò che che non è eterno può darti aiuto ...
La differenza fra la sete di crescere e lo sviluppo che si produce nelle anime sta nel movente. L'Anima che cresce in modo naturale è paragonata ad un fiore che sboccia gradatamente e inconsciamente, ma con ardente desiderio di aprirsi ai benefici raggi del sole, centro di vita.
atrio della Sapienza troveremo il Maestro.
9 Desidera solo ciò che è dentro di te.
10 Desidera solo ciò che è al di sopra di te.
11 Desidera solo ciò che è irraggiungibile.
12 Ciascuno ha in sè la luce dello Spirito: se si è capaci di discernerla, è inutile cercarla altrove. A mano a mano che l'anima sviluppa la coscienza spirituale diviene più consapevole e più vasta. La Realtà è dentro di noi che attende di manifestarsi allorchè la cercheremo. Ascoltiamo la Voce dello Spirito, cerchiamo la luce dello Spirito, entrambi sono in noi.
13 Desidera il potere con ardore.
14 Desidera la pace con fervore.
15 Desidera possessioni sopra ogni cosa.
16 Le tre possessioni devono appartenere all'anima pura e perciò devono essere possedute da tutte le anime in egual modo e divenire proprietà dell'intero solo quando è unito.
17 Cerca la via.
18 Cerca la via ritirandoti al di dentro.
19 Cerca la via avanzando coraggiosamente al di fuori.
20 Non cercare la via in una sola direzione e ciò perchè per ogni temperamento vi è una via che appare la più desiderabile e va ricercata per mezzo dello studio delle leggi dell'essere, delle leggi della natura, delle leggi del soprannaturale.
21 Aspettati che il fiore sbocci nel silenzio che segue la tempesta, non prima.
interna fortezza dalla quale la personalità può essere contemplata con imparzialità; aver veduto l'anima in fiore è l'aver avuto un momentaneo lampo della trasformazione che eventualmente ti farà più che un uomo; riconoscere è l'effettuare il grande compito di fissare la luce abbagliante senza abbassare gli occhi e senza arretrarsi con terrore.
01) Sta in disparte nella veniente battaglie e benchè tu combatta non essere il guerriero.02) Cerca il guerriero e lascia che egli combatta in te.03) Prendi i suoi ordini per la battaglia e obbedisci.04) In questo precetto è contenuto l'invito ad obbedire al guerriero come se fosse il generale; è cioè l'obbedienza all'anima, in quanto l'anima è eterna e sicura, è verità eterna e nel giorno della grande pace diverrà una con te.05) Ascolta il canto della Vita.06) Serba nella memoria la melodia che odi.07) Impara da essa la lezione dell'armonia.08) In questo precetto si chiarisce che noi facciamo parte dell'armonia e perciò occorre Obbedire alle leggi dell'armonia.09) Considera intensamente tutta la vita che ti circonda.10) Impara a guardare intelligentemente nei cuori degli uomini. (Naturalmente per poter guardare occorre porsi da un punto di vista impersonale. Finchè i legami della personalità non sono sciolti non si può cominciare a vedere quel profondo mistero del Sè).11) Considera con somma attenzione soprattutto il tuo cuore.12) Perchè attraverso il tuo cuore viene l'unica luce che può illuminare la vita e renderla chiara agli occhi tuoi. Studia i cuori degli uomini affinchè tu possa conoscere che essa è quel mondo nel quale vivi e di cui sei una parte. Considera la vita che ti circonda costantemente mobile e mutevole, perchè essa è formata dai cuori degli uomini: e come impari a intendere la loro costituzione e il loro significato, sarai capace di leggere grado a grado la più ampia parola di vita.13) Solo con la conoscenza viene la facoltà della parola. Consegui la sapienza e possederai la facoltà della parola.
("Dopo questa Regola tredicesima non posso aggiungere altro" dice il Maestro; tuttavia Egli ci dà altri otto precetti utili per chi ha trovato il Sentiero).14) Ottenuto l'uso dei sensi interni, conquistati i desideri dei sensi esterni, conquistati i desideri dell'anima individuale e ottenuta conoscenza, preparati ora, discepolo, a entrare realmente sul Sentiero ed a calcarlo.15) Domanda alla terra, all'aria, all'acqua i segreti che racchiudono per te. Lo sviluppo dei tuoi sensi ti permetterà di fare ciò.16) Domanda ai Santi della Terra i segreti che serbano per te. La conquista dei desideri dei sensi esterni ti dà diritto di fare ciò.17) "Domanda al tuo più profondo essere, all'Unico, il segreto finale che conserva per te attraverso le età.
La grande e difficile vittoria, il soggiogare i desideri dell'anima individuale è un lavoro di secoli; perciò non aspettarti di ottenere la ricompensa fino a che secoli di esperienza siano stati accumulati. Quando è giunto il tempo di imparare la diciassettesima regola, l'"uomo è sulla soglia di divenire più che uomo".18) La conoscenza che ora possiedi è unicamente tua, perchè l'anima tua è divenuta una con tutte le anime pure e col tuo più profondo essere. E' un pegno affidato a te dall'Altissimo.
Grandi Esseri ricadono indietro anche sulla soglia, incapaci di sostenere il peso della loro responsabilità, incapaci di passare innanzi. Perciò anticipa con timore e tremore questo momento e sii preparato per la battaglia.19) E' scritto che, per colui che è sulla soglia della Divinità, nessuna legge può essere formulata, nessuna guida può esistere. Pure, per illuminare il discepolo, la lotta finale può essere espressa. Attieniti fermamente a ciò che non ha sostanza nè esistenza.20) Ascolta solo la Voce che non ha suono.21) Fissa il tuo sguardo solo su ciò che è invisibile tanto all'interno che all'esterno.
sparisce alla chiara Luce
di Gioia e di Forza.
dalla Gioia e dalla Fiducia.
Non soltanto la Gioia, ma anche il Coraggio
ci rende invulnerabili.
è la Pace della Serenità
e della Gioia,
una serenità basata sulla
comprensione spirituale,
una gioia incontaminata
da circostanze.
è la mia forza.
La recita
(Autore Anonimo)
“Ho capito” disse. Ed entrò in scena.
La prima sensazione fu di impaccio: la pesante acconciatura lo limitava nei movimenti ed anche la tecnica espressiva gli dava non pochi problemi. Prezioso fu l’aiuto dei compagni di lavoro che subito gli furno intorno. Nessuno gli fece pesare gli errori iniziali, ed il periodo di “rodaggio” passò presto anche perché non era certo un pivello.
Quando rivolse l’attenzione all’intorno si rese conto che il boss non aveva affatto tirato al risparmio: il palcoscenico era grande, ben più grande di quanto una prima impressione potesse suggerire; le luci a dir poco perfette, gli scenari ricchissimi e di ampio respiro. Difficile immaginare effetti migliori di quelli, speciali e non. L’ambientazione non mancava di varietà, compresa una profusione di piante ed animali. Il meglio del meglio senza dubbio.
Il suo ruolo non lo impensieriva. La parte iniziale molto semplice, quasi banale, gli concedeva tutto il tempo necessario per adattarsi ed egli si sentì presto a suo agio sfoderando doti di grande scioltezza e disinvoltura. Gli altri erano molto contenti di averlo con loro e glielo dimostravano. Impersonava uno studente che ottiene buoni risultati, ha un buon rapporto con i compagni ed i professori, non da soverchi problemi ai genitori.
A poco a poco si calò così bene nel personaggio che cominciò a divertirsi. Questa commedia gli piaceva.
La sua interpretazione era molto naturale; le vicissitudini più disparate, dal tragico al comico, venivano affrontate con vera partecipazione e ricchezza di sentire e la vicenda, mai priva di interesse, scorreva velocemente. Di lì a poco lo studente di addottorava, poi veniva il servizio militare, seguiva un buon impiego ed anche una bella famigliola. Copione semplice, ma non privo di impegno, che lui recitava in totale simbiosi con il personaggio tanto che, ad un certo punto, dette addirittura l’impressione di essere andato oltre, di credere di essere davvero quel Sig. Direttore, come gli altri lo chiamavano. il gioco della botteghina lo aveva preso e lui si comportava come se quella fosse proprio roba sua, dimentico del fatto che stesse recitando una parte.
Si affaccendata di continuo, metteva bocca dappertutto. Finì per pensare di essere indispensabile. Bravo, ma un po’ invadente.
Le ansie, i timori, le gioie del personaggio, le aveva fatte sue e se ne lasciava coinvolgere profondamente.
La sua caratterizzazione dell’anziano fu un capolavoro: dava consigli a tutti, trovava sempre da ridire, magari cose giuste anche se un po’ scontate. Poi prese il bastone, cominciò a camminare curvo, saliva le scale ansimando: avrebbe mosso chiunque a dargli una mano.
Ora la sua parte volgeva al termine, ma lui si era così affezionato al suo personaggio che, quando arrivò alle ultime battute, si vide chiaramente che era contrariato, dispiaciuto. Pensava veramente ch, senza di lui, la commedia non potesse andare avanti.
Ma il copione ha le sue esigenze ed egli si trovò dietro le quinte quasi senza accorgersene. Rimase un po’ lì a sbirciare, riluttante. Aveva così poca voglia di andarsene che cercò persino di attrarre l’attenzione di qualcuno dei compagni di lavoro, ma tutti erano presi dal proprio ruolo e nessuno gli fece più caso.
Finalmente si convinse anche lui che la sua parte era finita. Si liberò definitivamente dell’acconciatura e riaquistò quasi con sorpresa la sua naturale mobilità provando un senso di liberazione che lo riportò alla realtà.
Salì al primo piano ormai rasserenato mentre andava rivedendo la sua performance e cercava di porsi dall’altra parte per cogliere eventuali motivi di miglioramento. Così, scorrendo all’indietro il suo semplice copione, si diresse verso l’archivio. I suoi precedenti lavori, tutte le sue esperienze passate, erano lì. Una lunga fila di cartelle, così lunga che non se le ricordava nemmeno.
Le scorse con gli occhi fino in fondo, e sfilò la prima mettendosi a leggere. A ripensare a quel suo primo lavoro così lontano, si sentì antico.
Ne lesse un’altra ed un’altra. Le parti che gli erano state affidate all’inizio erano semplici, primitive. I personaggi erano rozzi, con caratteri violenti ed inevitabilmente andavano incontro a morte traumatica e prematura. Poi man mano che faceva esperienza gli avevano dato da interpretare ruoli più impegnativi.
Ce ne era voluto di tempo per imparare a vivere in quel modo ma, poco per volta, aveva fatto di tutto, adattandosi ad ogni situazione. Gli ultimi copioni erano poco più che delle tracce con cui il personaggio veniva appena accennato, due o tre fatti importanti puntualizzati e tutto il resto era affidato a lui che era ormai in grado di sostenere tutta la parte, recitando a soggetto, con la maestria che viene da una lunga esperienza. Poteva considerarsi completo, arrivato, capace di affrontare qualunque evenienza prevista o meno.
Eppure non si sentiva soddisfatto. C’era qualcosa che sembrava mancare, come una lacuna che non riusciva a definire ma che certamente era lì. I suoi lavori gli facevano l’effetto di una sonata tecnicamente perfetta ma fredda e questa, pensò, doveva essere la chiave. Ed era proprio così: sul palcoscenico c’era solo il personaggio, immerso nelle piccole cose, nelle ansie di tutti i giorni, sommerso da mille problemi. Lui, l’attore, potremmo dire l’anima di quel personaggio, era assente, non si vedeva che raramente. La statura interiore, la serenità che viene da un briciolo di distacco e dalla coscienza che l’essere va ben al di là della recita, non c’erano. Ed egli lo vide, lo capì e gioì profondamente di questa scoperta che gli parve importantissima. Ne trasse un nuovo impulso, si sentì attratto dal palcoscenico, desiderò tornare subito a recitare e mettere inpratica la grande lezione.
Andò in cerca del Regista per avere un altro copione. L’Amico e Maestro lo accolse benevolo con l’aria di chi sà già tutto ed alla sua richiesta rispose che lui non aveva più bisogno di alcun copione. Poteva entrare in qualsiasi momento e fare tutto da se. Lo accompagnò quindi fino alle quinte raccomandandogli di tenere ben presente ciò che aveva appena scoperto, che quello era il suo vero grande tesoro.
Con l’entusiasmo di un bambino si apprestò ad indossare la nuova acconciatura e guardando il Maestro con riconoscenza e devozione disse:
“Ho capito” – ed entrò in scena.
Le verità bibliche
(dagli studi del dott. Mauro Biglino)
La presunta verità dogmatica mi ricorda un modello della FIAT: è multipla.
Dico sempre che con la Bibbia la cosa migliore - anzi a mio avviso l’unica corretta - è “fare finta che…”.
Da settembre in poi sto documentando come la Bibbia alla quale siamo invitati a credere dipenda dal luogo geografico e dal periodo storico in cui nasciamo: in sostanza, qualcuno decide per noi quali sono i libri “credibili” e quali no (46 per i cattolici, canone ridotto per i cristiani riformarti, 39 libri per gli ebrei, libri diversi per i copti… e così via…)
Ad esempio, entrando in uno dei tanti possibili contenuti, nelle conferenze mi capita spesso di ipotizzare che i fuoriusciti dall’Egitto con Mosè non fossero i componenti del popolo ebraico, bensì un insieme di genti di varia estrazione che con ogni probabilità parlavano egiziano…
Sappiamo che bibbia tradizionale ci narra di un popolo israelita già formato, schiavizzato e quindi fuoriuscito in massa…
Partendo dallo studio del testo biblico e della letteratura extrabiblica, il Rabbino Lee I. Levine (Docente di Storia ebraica alla Hebrew University di Gerusalemme) scrive invece che l’identità israelitica si è formata ben dopo l’Esodo ed è il frutto di un periodo molto lungo di gestazione e accorpamento che ha coinvolto semiti e non semiti, nomadi e seminomadi, abitanti di Canaan e gente che vi è immigrata.
Ad andare ancora oltre sono gli studiosi Messod e Roger Sabbah, due fratelli di famiglia rabbinica.
Usando i Targumim (bibbia aramaica) in raffronto con documenti egizi, essi scrivono che gli ebrei in Egitto non esistevano e che i fuoriusciti al tempo di Mosè erano in sostanza egiziani adoratori di Aton.
Secondo le loro acquisizioni, il gruppo fuoriuscito era costituito dagli Yahud (termine egizio dal quale deriverebbe il vocabolo Yehudim, giudei, che indicava la casta dei nobili e dei sacerdoti di Aton) e dal cosiddetto “popolo di Israele” (i futuri ebrei), che era in realtà l’insieme dei proseliti: lavoratori di varie etnie poco considerati e poi relegati a vivere nella zona nord del paese di Canaan (il regno di Israele, contrapposto al regno di Giuda, costituito appunto dai nobili/sacerdoti Yehudim).
A favorire la loro uscita sarebbe stato il generale/faraone Ay che nella bibbia aramaica corrisponde a Yahweh, indicato con la doppia yod.
Affermano inoltre che la lingua di questi yehudim (yehudaé in aramaico) era l’egiziano, che cessarono di usare solo nel periodo dell’esilio babilonese, quando si adattarono alla situazione per compiacere i loro nuovi governanti, avversari dell'Egitto.
Insomma, partendo dalla bibbia aramaica, i due studiosi di famiglia rabbinica ricavano indicazioni diverse da quelle contenute nella bibbia masoretica, su cui sono basate sostanzialmente le attuali credenze e sulla quale io lavoro, perché è quella che viene definita “ispirata” dal dio che le teologie e ideologie di varia estrazione hanno elaborato.
Le discordanze ovviamente non finirebbero qui… ma per questo post direi che sono sufficienti.
La verità tra la versione masoretica e quella aramaica?
Mah!?
Nell’attesa, io continuo a “fare finta che…”.
Senza dimenticare che l’uscita dall’Egitto di un insieme di genti, chiunque esse fossero, pare essere descritta anche nella stele di El-Arish (Museo di Ismailiya, Egitto), i cui caratteri geroglifici sono stati studiati e tradotti dal Prof. Hoffmeier (Professor of Old Testament and Near Eastern Archaeology, Trinity International University, Deerfield, IL).
In quella stele si racconta in sostanza che molte persone, guidate da un principe del deserto che operava per conto un dio avversario, si allontanarono dal territorio e nel corso della loro marcia si accamparono in una località conosciuta col nome di Pi-Karroti.
La Bibbia narra che quel popolo, guidato da Mosè che operava per conto dell’Elohim Yahweh, (avversario del faraone e quindi immaginiamo anche dei suoi “superiori”), si allontanò e si accampò in una località chiamata Pi-Akhirrot: pare proprio che la stele e la Bibbia si riferiscano alla stessa località.
Dopo di che il geroglifico dell’acqua ripetuto tre volte e quello del coltello ripetuto due volte indicano, secondo il docente, che una grande “massa d’acqua” fu tagliata in due”, proprio come ci racconta la Bibbia che chiama quell’acqua “yam suf” cioè “mare di canne”.
Insomma, andiamo avanti, perché “facendo finta che”… piano piano… forse…
^___*
(ETZ HAYIM, Ed Yewish Publication Society, 2005 New York
Les secrets de l’Exode, Ed Godefroy, 2000 Paris)
L'evoluzione dell'uomo
(Autore Anonimo)
L'ambiente in cui l'individuo compie la propria evoluzione è costituito dal piano fisico, dal piano astrale, dal piano mentale, dal piano Akasico e dai piani spirituali.
Tutti i piani di esistenza sono intorno a noi: entro la materia stessa è il mondo degli spiriti. Ma l'uomo, quando è incarnato, non riesce percepire più di quanto rientra nel ristretto campo dei suoi sensi fisici.
Per ogni campo di esistenza l'individuo ha dei veicoli, dei corpi: il corpo fisico gli permette di vivere sul piano fisico; il corpo astrale presiede alla sua vita di emozioni, sensazioni, desideri; il corpo mentale dà all'uomo tutte le facoltà che sono proprie della mente, l'intelletto e i pensieri; il corpo akasico, o coscienza, riceve e trascrive, facendola diventare natura medesima dell'individuo, la realtà che l'uomo, esistendo, scopre e acquisisce.
Quando l'uomo ha cessato di vivere, abbandona il corpo fisico, ma sosta vicino a esso per qualche tempo ed è spesso grandemente disturbato dalle scene di pianto degli astanti.
Ha quindi una sommaria visione della sua vita trascorsa ed è spesso aiutato, in questo suo primo contatto con il piano spirituale di esistenza, dalle persone care trapassate prima di lui.
Il mondo astrale è molto simile a quello fisico: un mondo vastissimo e meraviglioso, popolato di tantissimi individui.
La sosta più o meno lunga nel mondo astrale, dipende dal grado di evoluzione che l'individuo ha raggiunto: l'anima evoluta vi si trattiene solo brevemente, le altre anime o rivivono dolorosamente le colpe commesse e in questo modo se ne purificano, oppure si creano un mondo fittizio che consente loro di cullare desideri insoddisfatti: finché, stanca e saziata dai propri sogni, l'anima si trova sulle soglie del piano successivo, il piano mentale, di cui prima di allora non aveva neppure immaginato l'esistenza.
Nel piano mentale ogni creatura è immersa in una continua meditazione, e completa le nozioni che ebbe nell'ultima incarnazione: gli scienziati continuano a studiare quei problemi ai quali non seppero trovare risposte, in modo che nella nuova incarnazione ne avranno poi insite le soluzioni.
Una volta elaborato tutto il materiale accumulato nell'ultima incarnazione, l'individuo lascia il corpo mentale e le facoltà raggiunte passano nel corpo akasico, cioè alla coscienza dell'individuo.
Il piano akasico conserva impresse in sé tutte le esperienze avute nelle varie incarnazioni e si costituisce man mano che l'individuo si evolve.
Se l'individuo non è molto evoluto, il suo corpo akasico non è sufficientemente costituito e quindi permane in questo piano, rivedendo con tranquillità tutte le passate esistenze, finché non è pronto per una nuova incarnazione che amplierà ancora la sua coscienza. se invece in corpo akasico è sufficientemente costituito, l'individuo gode di una lucida esistenza riversa sugli altri piani un amore sconfinato e una comprensione senza limiti.
Questo è quindi il piano della fratellanza universale e dell'amore, il piano dove tutti vivremo coscientemente, comprendendo che tutte le amarezze che oggi ci turbano sono esperienze necessarie alla nostra evoluzione, alla nostra nascita spirituale.
Quando l'individuo sente di essere un tutto con il resto del creato, abbandona anche il piano akasico, si avvicina sempre più al fulcro del suo essere, alla scintilla divina, ed è pronto per raggiungere i piani spirituali, alla conquista della coscienza cosmica ed assoluta.